Non chiamateli orfani

di ULAIA ArteSud, Olga Ambrosanio, da MICROPOLIS, mensile umbro di politica, economia e cultura in edicola con “il manifesto” e on line – luglio-agosto 2024 – Anno XXIX – numero 7-8

Scrivere dello stato attuale del Libano è una impresa quasi impossibile, considerando la velocità delle situazioni che si determinano sul terreno e i tempi necessari alla stampa di un giornale cartaceo. Le notizie che arrivano dall’ONG partner, The National Institution Social Care and Vocational Training – Beit Atfal Assumoud e dal campo profughi palestinese di Burj al Shemali dove la nostra associazione è maggiormente presente, delineano scenari altalenanti che mentre lasciano sperare una distensione tra i belligeranti, improvvisamente diventano forieri di un imminente epilogo.

Stiamo parlando, ovviamente, del cosiddetto “Fronte Nord”, con esso identificando il confine di Israele e dei Territori Occupati con il Sud del Libano, regione caratterizzata da una massiccia presenza del “Partito di Dio”, gli Hezbollah. Quel confine, uno dei più sorvegliati in assoluto, con una missione Internazionale di interposizione tra Israele e Hezbollah (UNIFIL) che si rinnova dal 1978, solo in questi ultimi mesi è venuto all’attenzione dei media per l’intervento degli Hezbollah in appoggio a Gaza. Alcuni aspetti della storia recente ci aiutano a capire come l’informazione di oggi presenta questo nuovo attore che ha fatto irruzione nello scenario già complicato della situazione di Gaza.

Israele occupò il Libano nel 1978 per respingere oltre il fiume Litani i fedayin di Arafat. La guerra civile (1975-90) era appena iniziata e in quel periodo sorsero diversi gruppi di resistenza armata tra cui Amal e Hezbollah, ma gli attacchi meglio pianificati, alcuni dei quali condotti con attacchi suicidi, furono quelli degli Hzb. Quando alla fine della guerra civile molte milizie della resistenza accettarono di disarmare, Hzb rifiutò, dichiarando che lo avrebbero fatto solo quando Israele si fosse ritirata completamente dal Libano, definendosi, così, unilateralmente non più come una milizia bensì come “resistenza islamica”. Larga parte della popolazione accettava questa posizione, non sentendosi garantita dal patto di non aggressione sui civili libanesi da parte di Israele, a maggior ragione dopo il macabro eccidio di Qana (1996), reazione al lancio di razzi katiuscia di Hzb, a sua volta risposta all’uccisione di alcuni civili libanesi.

Israele si ritirerà unilateralmente dopo 22 anni, nel 2000, ma non completamente. Occupa tuttora, infatti, i 25 mq delle fattorie di Shebaah, punto di incontro di Libano, Siria e Israele, al margine dell’altopiano del Golan siriano, anch’esso occupato dal 1967. Questa l’argomentazione con la quale Hzb risponde al mondo occidentale che, a più riprese, continua a chiedere il loro disarmo, come anche l’intervista del 5 luglio 2024 di Nello Rega, inviato di Rai News in Libano, a Sami Gemayel, presidente di Kataeb, partito nazionalista a prevalenza cristiano-maronita (la mano armata di Israele nell’eccidio di Sabra e Chatila). Di fronte all’efferatezza del genocidio di Gaza, con Israele che continua a disattendere anche le ultime risoluzioni Onu, che ha ignorato la sentenza della Corte di Giustizia Internazionale (CGI) di non invadere Rafah e di consentire l’ingresso degli aiuti umanitari e degli osservatori Onu, e tanto altro, suona veramente fuori luogo trasmettere un servizio in cui l’intervistato chiede alle cancellerie europee di far rispettare la risoluzione Onu sul disarmo di tutte le milizie in Libano senza spiegare all’ascoltatore-lettore che l’intervistato è all’opposizione del governo attuale e senza far riferimento alle uccisioni mirate di importanti capi degli Hezbollah da parte israeliana sul territorio libanese.

Il “Partito di Dio”, pur essendo presente in Parlamento dal 1992, dal 31 ottobre del 2001 è stato inserito nell’elenco delle organizzazioni terroristiche (1) in estensione all’Executive order 13224 del 23 settembre 2001 (2) emesso dal Presidente degli Stati Uniti G. Bush dopo lattentato alle Torri Gemelle per le organizzazioni ritenute fiancheggiatrici di Al Queda. Da quella data l’elenco viene costantemente aggiornato dagli organi preposti, tutti interni alle sole istituzioni degli Stati Uniti.

Infine, ricordando anche l’ultima invasione del 2006 nel Sud del Libano terminata con la sconfitta e il ritiro dell’esercito israeliano, e alla luce delle ben note alleanze nello scacchiere mediorientale, emerge chiaramente quanto Israele e l’Occidente siano interessate ad approfittare per assestare un colpo anche ad Hezbollah, eliminare la resistenza ed avvicinarsi ai nemici di sempre senza l’intralcio di quello che oggi è considerato il vero esercito del Libano.

I numeri delle vittime provocate dai bombarda menti, degli sfollati, dei danni e dei villaggi rasi al suolo, di fronte a quelli, mostruosi, di Gaza impallidiscono, ma in Libano pesano. Il ricordo della guerra civile è ancora vivo nella popolazione, non c’è famiglia che non abbia avuto lutti durante quei lunghi anni, e nella società non c’è stato ancora nessun processo di riconciliazione tra le opposte fazioni della guerra civile. I bombardamenti attuali hanno distrutto vaste aree agricole, case, sconvolto la vita di civili libanesi e palestinesi che si sono rifugiati nella più vicina città di Tiro, che certo non offre loro la salvezza. I bombardamenti sono arrivati a 20 Km da Tiro, a Naqura, sede di UNIFIL, nella regione della Bekaa e potenzialmente possono verificarsi ovunque si muova un ‘target’ che l’intelligenza artificiale che Israele sta usando abbia etichettato come da eliminare. In Libano, al momento non è sicuro nemmeno muoversi sulle strade verso il Sud.

Ma a parte la guerra in casa e la consapevolezza della comunità dei campi profughi palestinesi di essere essa stessa un “target” in caso di escalation, forte è lo smarrimento per il genocidio in atto dove, sotto le macerie di Gaza è sepolta anche l’umanità dell’Occidente. Come può questo popolo del quale non troverete mai un bambino in adozione all’estero, trovare una giustificazione per il mondo che assiste senza intervenire all’uccisione di oltre 15.000 bambini e alla lenta agonia di quelli che invece muoiono di fame? E quelli che hanno perduto entrambi i genitori che spiegazione troveranno alla loro solitudine? Per questi bambini Kassem Aina, direttore generale di Assumoud, intervenendo al convegno internazionale “Justice for Gaza: The Role of International Law in Protecting Health, Education, and Civil Society Amidst Conflict, tenutosi all’American University di Beirut dal 19 al 21 giugno 2024, chiede giustizia. E chiede di non chiamarli orfani ma “figli di martiri, perché i loro genitori hanno dato la vita per liberare Gaza dall’oppressione dell’occupazione ed è nostro dovere raccogliere la loro eredità e provvedere degnamente al loro mantenimento e crescita”.

Sa bene di cosa parla Kassem Aina, lui che ha fatto della sua vita una missione per l’assistenza ai bambini martiri dei due massacri commessi in Libano dalle milizie della destra estremista, con la complicità dei sionisti, a Tal el Zaatar nell’agosto 1976 e a Sabra-Shatila nel settembre 1982. Una assistenza che successivamente è diventata fornitura di servizi nei campi profughi, come gli asili, non previsti dai programmi educativi di UNRWA o la salute mentale di cui i bambini con lacune nello sviluppo hanno sempre più bisogno, e altrettanto gli adulti provati da una vita che non lascia intravedere prospettive se non quelle di ricadere nei deja vu del passato, come in questo momento.

La storia dell’ONG Assumoud e di quest’uomo corre parallela. In Tal el Zaatar quasi 5.000 martiri persero la vita, e molti bambini si ritrovarono senza nessun familiare; Assumoud per 180 di quei bambini formò una nuova famiglia con madri “surrogate”, donne che anch’esse avevano vissuto il massacro, opportunamente formate per il ruolo che erano chiamate a ricoprire per gli otto-dieci bambini che gli sarebbero stati affidati. Furono formati anche altrettanti uomini nei ruoli di insegnanti, autisti, istruttori e affiancati alle famiglie per dare l’immagine del padre. Il nucleo così composto aveva la propria indipendenza, gli veniva assegnato un appartamento nei locali dell’istituzione, con la cucina comune a tutti gli appartamenti e il pranzo, uguale per tutti, servito alla stessa ora. Inoltre la famiglia poteva ricevere gli amici il venerdì e la domenica. Per ovviare all’isolamento nell’ambito della nuova famiglia, vennero istituiti gli asili per i bambini al di sotto dei tre anni, e assicurate le scuole, quelle dell’UNRWA o quelle private libanesi, a seconda dell’età. I bambini non vestivano una uniforme, ognuno indossava i vestiti comprati con la madre surrogata e la paghetta che veniva loro corrisposta di entità commisurata all’età.

Unicef di Beirut trovò questo metodo di cura unico, classificandolo come “Terza esperienza di assistenza sociale ai bambini orfani”, terza perché univa le parti migliori della metodologia degli orfanotrofi e quella dei villaggi palestinesi (Sos) e organizzò una conferenza a Beirut che sfortunatamente fu cancellata perché nel giugno 1982 Israele invase il Libano. Una nuova invasione, un nuovo eccidio, altri figli di martiri con Assumoud ancora in pri- ma linea. Per far fronte al crescente numero di bambini di cui prendersi cura Assumoud creò il progetto “Family Happiness” che affidava il bambino figlio di martiri ad una famiglia nei campi. Il progetto ancora oggi esiste trasformato in sostegno a distanza per famiglie in condizione di estrema povertà, ed è quello al quale noi anco- ra oggi aderiamo con il nostro “Support a child” e 36 bambini assegnati.

L’ONG oggi è un punto di riferimento, presente con un centro in ogni campo del Libano. Eroga servizi educativi, di salute fisica e mentale, attività culturali e artistiche per i bambini di Family Happiness e per chiunque altro voglia accedervi, senza discriminazioni di religione o di nazionalità. Inoltre fornisce un servizio di conseling anche per gli adulti e corsi sulle attività folcloristiche nazionali. L’ONG si pone anche come generatrice di reddito in quanto impiega molti palestinesi dei campi.

Non chiamateli orfani, ripete più volte Kassem nel suo discorso! “I bambini sopravvissuti sono i bambini dei martiri e in quanto tali meritano riconoscimento e onore, attenzione e cure appropriate. Verso di loro abbiamo una responsabilità umanitaria e nazionale”. Né in medicina, né sui libri di scienze è stato finora esaminato l’impatto sulle popolazioni di una pulizia etnica e di un genocidio così efferato come quello in corso da dieci mesi, specialmente sui bambini. Di certo quei bambini, insieme alle cure, devono ritrovare il senso di sicurezza e di stabilità, riavere una casa, scuole, ospedali e giocattoli.”

Non possiamo che condividere queste riflessioni, sicuri che la società civile internazionale saprà dare una risposta di solidarietà adeguata a questo popolo coraggioso e al sacrificio che stanno offrendo, mentre tristemente constatiamo che Risoluzioni Onu, Leggi Internazionali, Diritti del fanciullo e Diritti Umani equivalgono ormai a carta straccia e assistiamo al fallimento delle Istituzioni Internazionali che hanno abdicato alla mission per la quale sono state create dopo la seconda guerra mondiale.

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  1. Nella stessa data vengono inseriti diversi gruppi armati palestinesi: il Fronte di Liberazione Pa- lestinese, la Jihad Islamica palestinese, il Fronte popolare per la liberazione della Palestina, e il Comando generale del medesimo fronte (Plf- Pij – Pflp e Pflp-Gc)
  2. Executive order 13224 del 23/9/2001 U.S. Department of the Treasury Specially Designated Nationals List

4 p o l i t i c a luglio-agosto 2024

MICROPOLIS-PAGINA-LUGLIO-2024

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