Il gesto estremo del soldato americano Aaron Bushnell farà breccia nella società come Jan Palach nel 1969?  

Credo che il valore aggiunto che dobbiamo dare con i piccoli mezzi a nostra disposizione sia proprio quello di dare diffusione alle notizie che vengono oscurate o minimizzate dal mainstream con il preciso intento di evitare che si scatenino reazioni empatiche e diffuse che possono indurre la società a reclamare la fine delle guerre.

E’ il caso del soldato dell’aeronautica americana che domenica 25 febbraio si è dato fuoco davanti all’ambasciata israeliana a Washington. Si chiamava Aaron Bushnell, aveva 25 anni, e ha ripreso in un video il gesto estremo. “Non sarò più complice del genocidio. Palestina libera”, ha detto poco prima di darsi alle fiamme.

Nel seguito il comunicato della Rete Romana di Solidarietà con il Popolo Palestinese diffuso alla manifestazione del 2 marzo, Roma, Piazza Vittorio. Foto di Maria Teresa Giustiniani

“……il gesto di Aaron Bushnell, dopo aver pronunciato in modo chiaro e semplice “sto per commettere un atto estremo di protesta ma confrontandolo a ciò che la popolazione palestinese sta soffrendo per mano dei suoi colonizzatori, non è per nulla estremo. Non voglio più essere complice di un genocidio che loro vogliono sia una cosa normale. Free Palestine, Free Palestine” continuando a gridarlo finché ha potuto anche dopo essersi dato fuoco. È morto per le gravi ustioni qualche ora dopo.

Evitate di fare diagnosi di follia. Aaron viene descritto con affetto dai suoi amici, come un ragazzo genuino, dai modi garbati, riflessivo e che amava scherzare. Partecipava alle proteste contro la brutalità della polizia, chiedeva rispetto per i diritti delle donne e giustizia sociale. Studiava ed aveva in progetto ulteriori studi.

Questa tragica vicenda ci ricorda un’altra giovane americana Rachel Corrie che nel 2003 mise la sua vita a rischio opponendosi alla espulsione della popolazione civile palestinese dai suoi villaggi e morì sotto una tonnellata di terra gettatale addosso da un bulldozer manovrato da un militare israeliano.

Prima ancora l’autoimmolazione di Aaron ci riporta agli anni 60-70. Il 16 gennaio 1969 si diede fuoco, in piazza San Venceslao, Jan Palach, in segno di protesta contro l’invasione dei carri armati sovietici che nell’agosto del ’68 aveva messo fine alla primavera di Praga. Il suo gesto impressionò moltissimo i suoi connazionali ed ebbe risonanza anche nel resto del mondo. La sua fama è tuttora viva. Paolo VI, riconobbe la necessità di «custodire il valore che mette al grado supremo il sacrificio di sé e dell’amore per gli altri”.

Anche in Vietnam, furono numerosi i monaci, le monache ed i laici che si immolarono affinché si mettesse fine prima alla dittatura nel Vietnam del sud, che perseguitava i buddisti, poi alla guerra degli Stati Uniti. In questo caso fu il grande monaco Thích Nhất Hạnh che scrisse una lettera rivolta al mondo occidentale per spiegare il gesto di Thích Quảng Đứ, il primo monaco a darsi fuoco. L’immolazione, scrisse, non deve essere considerata suicidio, ma espressione di coraggio ed ottimismo per cambiare la società, un gesto volto a toccare i cuori e mostrare la situazione per quella che è, si tratta di un atto di compassione.

Ricordiamo che allora le reazioni furono intense, empatiche e diffuse, la società restò colpita e reclamò la fine della repressione e delle guerre.

La tragica notizia della protesta di Aaron Bushnell è invece passata quasi sotto silenzio ed occultata dai nostri media. Una breve menzione, la più passeggera possibile. Non andavano comunicati né il contenuto delle sue parole né le forti emozioni provocate dalla sua protesta. I lettori dei quotidiani, gli ascoltatori di radio e tv non dovevano poter riflettere su quanto profondo fosse il significato del gesto del giovane militare americano che protestava per l’orrore della grave e totale complicità del suo Paese nel genocidio della popolazione palestinese a Gaza e in Cisgiordania. Sentiamo Aaron come Rachel ed altri come persone di grande valore, immerse nel mondo, che non si voltano dall’ altra parte di fronte ad atroci ingiustizie e crimini di Stato, che confidano nell’umanità.

E sappiamo quanto il nostro governo sostiene il genocidio cercando di soffocare e punire le pacifiche proteste nelle nostre piazze.

Chiudiamo con la volontà espressa da Aaron nel suo testamento: “Se i palestinesi potessero riavere la loro terra e se gli uomini e le donne della terra fossero aperti a questa possibilità, mi piacerebbe che le mie ceneri fossero disperse in una Palestina libera”.

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