Nahr al Bared camp

Dovè la speranza?

(report dal campo profughi palestinese di Nahr al-Bared, Libano)

di Heather Stroud 1 ottobre 2018

Situato nella parte costiera dei sobborghi di Tripoli, con sabbie dorate ed una ampia vista del Mar Mediterraneo, il campo profughi palestinese di Nahr al-Bared potrebbe essere un bellissimo ambiente in cui crescere un figlio. Non è così!

Il senso di disperazione che ho avvertito durante questi tre anni di visite e conversazioni con i residenti del campo, è profondo. Il governo americano, sotto l’amministrazione Trump, ha tagliato tutti i fondi UNRWA per i campi palestinesi.

Ai rifugiati palestinesi che vivono nei campi del Libano non è permesso di lavorare, di avere una proprietà né la cittadinanza libanese. Solo il riconoscimento dello status di rifugiati e la legge internazionale del “Diritto al ritorno” (risoluzione 194) impediscono di essere considerati apolidi.

Sebbene i finanziamenti UNRWA li tenga intrappolati in uno stato di dipendenza, è anche ciò che, in pratica, li mantiene vivi. UNRWA sostiene fortemente i finanziamenti necessari per le cure mediche, l’istruzione e l’assistenza sociale. Senza la contribuzione degli US, le già scarse risorse nei campi raggiungeranno il punto di rottura. (Stiamo già assistendo al lento, calcolato genocidio in atto a Gaza). L’Arabia Saudita ha proposto di raccogliere il

vuoto lasciato dalla perdita dei contributi americani, ma ci sono delle condizioni … Condizioni impossibili da accettare per i palestinesi.

Netanyahu sta sostenendo che non ci sono più profughi palestinesi. Funzionari israeliani hanno stabilito che solo i palestinesi nati e scappati durante la NAKBA del 1948 (la catastrofe) sono qualificati come rifugiati. Con questa dichiarazione le cinque generazioni di discendenti nati nei tristi, poveri campi profughi, non sarebbero, quindi, considerati rifugiati. Trump, senza dubbio persuaso dalla politica dello Stato, sembrerebbe  concordare.

Il ‘Diritto al ritorno ’ è sancito dalla legge sui diritti umani. Questa mossa politica per cercare di abolire il ‘Diritto al ritorno ’ non è solo una violazione del diritto internazionale, ma è una presa in giro oltre il limite della decenza e dell’umano. Sebbene il mandato UNRWA sia il sostegno dei rifugiati, senza fondi appropriati i suoi servizi collasseranno.

Come riferito da uno degli anziani di Nahr al-Bared: “Tutto ciò avviene in dispregio dei diritti umani. Questo è un brutto affare ideato per portarci alla distruzione. Ci mantengono occupati a cercare solo di sopravvivere per distrarci dal punto cruciale. Stiamo diventando un non popolo, che, non per colpa propria, sta per essere escluso dalla razza umana senza diritti o mezzi per proteggere le vite dei nostri figli”

L’assistenza medica è stata già tagliata e, accanto alla limitata disponibilità di medicine e forniture mediche, un singolo medico è responsabile di circa 5.000 pazienti. Negli UK il limite è meno di 400, e in altri paesi europei è significativamente più basso. Con la scarsa nutrizione e l’acqua salata dai rubinetti imbevibile, la pressione sui medici è probabilmente molto elevata.

UNWRA non è stato creato per essere una fonte di finanziamento ma con intransigenza politica riguardo al riconoscimento dei diritti umani, i palestinesi sono stati intrappolati in un limbo per oltre 70 anni. Solo la speranza di ritornare alla loro terra li ha sostenuti. Il ‘Diritto al ritorno ’ è la pietra angolare della lotta-resistenza palestinese. Gli US sostenuti  da UK e Francia, insieme a Arabia Saudita e Israele e agli Stati del Golfo, probabilmente annunceranno il rifiuto palestinese di rinunciare al ’Diritto al ritorno ’ come un rifiuto a negoziare la pace. Gli autori di questa machiavellica manovra sanno che questa è una bugia ma in questo attuale orwelliano clima di scorrettezza politica, le bugie sono spesso ritenute verità.

Con la verità gettata nel cestino delle false notizie, il messaggio di colpa palestinese può essere ampiamente creduto. La comoda etichetta di terroristi palestinesi usata da giornalisti asserviti, permette a coloro che effettivamente usano il terrore di agire con impunità che crea sfiducia. Ogni critica da persone che giustamente pensano che Israele sia l’aggressore, viene etichettata come antisemita.

I leader palestinesi temono per i giovani del campo. Deprivati di un futuro, essi sono vulnerabili alla corruzione esterna o peggio.

“Siamo intrappolati dalle circostanze. Non vogliamo essere usati per sostenere il terrorismo di nessuno.”

Le paure degli anziani sono pienamente giustificate. Nel 2007 il gruppo terrorista Fatah Al Islam si nascose a Nahr al-Bared dopo aver derubato una banca e fu inseguito dall’esercito libanese. Il conflitto che ne derivò si risolse in un numero di morti e costrinse i palestinesi a fuggire. Le loro case e quel poco che erano riusciti a sistemare furono ridotte in macerie.

Gli effetti del bombardamento diffuso sono tuttora evidenti.

All’epoca Seymour Hersh ha riferito che i finanziamenti per il gruppo provenivano dagli US attraverso l’Arabia Saudita collegati attraverso Saad Hariri. Ma altre fonti riferiscono che i fondi siano arrivati da gruppi dalla Siria o Al Qaeda. Perché questo gruppo scelse di nascondersi a Nahr al-Bared rimane una interessante questione. Nahr al-Bared era il campo di rifugiati sede del centro finanziario dell’OLP. Se può avere qualche rilevanza esso era situato nel primo immobile. Qualunque sia la verità dietro Fatah Al Islam, i palestinesi sono preoccupati che questi gruppi possano trovare dei punti di appoggio nei campi tra i loro giovani.

Oggi il campo è lentamente ricostruito e circa i due terzi della popolazione ha potuto farvi ritorno. Rispetto ad altri campi le strade sono ampie, il cielo è visibile e l’aria fresca può entrare. Tuttavia ci viene fatto notare che le strade sono ampie in modo che i carri armati possano entrare. Nonostante l’impatto visivo di tale ampiezza in realtà lo spazio per le abitazioni di famiglie in espansione, è molto ridotto. E’ proibito dalla legge libanese costruire oltre il quarto piano o allargarsi orizzontalmente. Alcuni degli edifici bombardati del 2007 devono ancora essere sdoganati. Con le famiglie che entrano nella loro quinta generazione, l’affollamento è un serio problema. La situazione si è aggravata in quanto parte del campo è stata assegnata a rifugiati palestinesi in fuga dalla Siria.

La presenza dell’esercito intorno agli ingressi del campo è alta. Per gli stranieri i passaporti devono essere inoltrati molto in anticipo affinché l’intelligence possa vagliare ognuno che desidera entrare. Questo rende i palestinesi più sicuri? E’ opinabile!

Mentre questa misura tiene fuori i gruppi terroristici come ‘Fatah Al Islam’, esso rende l’ambiente, per i palestinesi, come un ‘campo prigione’. Basta ricordare come le forze israeliane circondarono le entrate di Sabra Shatila nel settembre 1982 e autorizzarono i falangisti a massacrare più di 3.000 palestinesi indifesi, per sentire un brivido al pensiero di non essere totalmente liberi di passare attraverso l’ingresso senza controlli.

I palestinesi non possono raggiungere la giustizia da soli. Servirà un ampio risveglio da parte di tutti noi per riconoscere che l’ingiustizia per un singolo è l’ingiustizia per noi tutti. Rimanere in silenzio è una complicità.

Traduzione a cura di ULAIA onlus Roma, 11 marzo 2018

https://countercurrents.org/2018/10/01/where-is-hope-a-report-from-nahr-al-bared-palestinian-refugee-camp-lebanon/
Nahr-al-Bared_IT-2

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