Nei campi tra l’attacco a Gaza e l’ISIS che preme

da Olga Ambrosanio, 5 agosto 2014  

alcuni di voi mi fanno notare il silenzio nel quale io, che solitamente ho la “penna facile”, sono piombata da quando è iniziato l’ennesimo round di pulizia etnica a GAZA.   Dal Libano,  dove mi trovo per seguire i progetti di ULAIA, quando ho accesso ad Internet non faccio altro che leggere l’infinità di messaggi di aggiornamento  su Gaza, articoli di autorevoli personalità, di attivisti coraggiosi e di gente comune, macabri resoconti, foto raccapriccianti, in un fiume di parole, analisi e considerazioni , che insieme a Laura, Maurizio e Simonetta selezioniamo per inviarle al  nostro FB ed al sito.

Potete immaginare, di fronte all’orrore di cui siamo testimoni  impotenti  in questi giorni, cosa mi possono sembrare i nostri progetti musicali  o di shiatsu, o il corso di italiano che questi ragazzi continuano a chiedermi con la speranza un giorno di sfruttare la conoscenza  della lingua per venire a studiare in Italia! Eppure, nel constatare il loro impegno quotidiano, i violinisti finora stretti intorno ad Annalisa e gli altri in questo momento intorno ai ragazzi di Prima Materia che sono tornati a trovarli, mi rispondo che noi per  loro siamo una alternativa, il calore di una umanità che non li dimentica, la speranza, di cosa non si sa.

Qualche differenza c’è tra Burj al Shemali 2013 e Burj  al Shemali 2014. A parte la sistemazione un po’ più dignitosa che hanno trovato i  rifugiati dalla Siria, la novità sono gli schermi giganti che si vedono negli angoli del campo, schermi sicuramente pensati per assistere ai mondiali di calcio sui quali scorrono invece le tragiche immagini di Gaza. E quelle immagini così grandi, con quella gente compunta come si usa nelle visite ai parenti di un defunto, amplificano il dolore impotente ed inaccettabile perché non viene dal naturale corso della vita ma dall’innaturale furia omicida di uno Stato che il mondo non vuole e non riesce ad impedire.

Le dimostrazioni di solidarietà per Gaza si alternano all’interno del campo e fuori, ma la sensazione è che fuori non molti libanesi vi partecipino, anzi, talvolta i concentramenti sono organizzati in spazi appartati dove la visibilità è limitata. Certamente qui i palestinesi  devono stare attenti a non dare fastidio più di tanto!

Dopo gli avvenimenti delle scorse settimane (leggi www.ulaia.org/Diari dal Libano/Che aria tira) qui la  preoccupazione ora è per Arsal, l’unico villaggio popolato da sunniti nel Sud est del Libano alla frontiera con la Siria, dove da diversi giorni si confrontano esercito libanese e miliziani delle Brigade Fajr al Islam di Homs, alleata dell’EI (Etat Islamic) – ex DAECH . Il Libano si difende dal loro tentativo di entrare e di stabilirsi anche qui, dopo l’Iraq e la Siria, per diffondere il loro obiettivo, dichiarato, di voler costituire uno Stato Islamico che comprenda aree dei tre Paesi. Lontano da me l’idea di rimbalzare notizie e numeri diffusi dalla stampa o dalle televisioni (non si sa più ormai a chi dare credito), mi limito a fiutare il clima ed a cogliere i segnali sui volti della gente abituata a vivere in un paese che da sempre fatica a mantenere il suo equilibrio.

E tra tutte queste drammatiche notizie continuo qui in Libano ad imbattermi in Palestinesi vittime della sottile guerra psicologica che li fa sentire equiparati ad animali più che ad esseri umani, come la squadra di calcio di minorenni libanesi e palestinesi che, benché in possesso di un invito in Svezia si è vista rifiutare il visto ai soli componenti palestinesi senza altra spiegazione che un minuscolo timbro apposto sul passaporto con la data di restituzione e la dicitura: Ambasciata di Svezia. “Che senso ha” si chiede il loro allenatore, anch’egli “rifiutato”? Come la famiglia di Yarmouk che scherza e ironizza su cosa gli resta da tentare per raggiungere i fratelli più fortunati stabilitisi da tempo in Paesi Europei. Come i tanti giovani che faticano ad individuare una direzione negli studi consapevoli che anche un loro successo a pieni titoli si fermerà di fronte al divieto di esercitare le tante professioni a loro negate.

Questa è una guerra che continua, senza alcun riflettore mediatico, sulla pelle della gente che incontriamo qui, su quei giovani che ci aspettano, su quei bambini che sosteniamo. Ma ora la priorità è FERMARE GAZA. Per questo non basta lo sforzo economico di una donazione, ma occorre consapevolezza ed attenzione per esercitare le efficaci azioni di disturbo non violento che stanno portando ISRAELE all’isolamento internazionale: BOICOTTAGGIO, DISINVESTIMENTO e SANZIONI, l.

Un invito a seguire il sito http://www.bdsitalia.org/ per prendere visione delle azioni in atto, a prendere contatti con gli attivisti, a suggerire ed a partecipare ad azioni pacifiche.

Olga, 5 agosto, Burj al Shemali

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