Abu Mazen in Libano per disarmare i campi profughi palestinesi

La poco diffusa visita di Abu Mazen in Libano è avvenuta. Come noto, Joseph Aoun, il Presidente filo-occidentale del Libano eletto recentemente, tra gli impegni assunti ha quello di convogliare nelle mani dello Stato tutte le armi presenti nel Paese. E’ ovvio, dunque, che il disarmo dei campi sia solo il primo passo per arrivare a Hezbollah.

Impensabile, invece, che Aoun avesse trovato nella figura del presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) una collaborazione piena, per giunta nel bel mezzo del genocidio di Gaza e della carneficina in Cisgiordania. Mentre gli accordi raggiunti, oltre a sancire il disarmo dei gruppi palestinesi nei campi si spingono a definire che “il territorio libanese non dovrà essere utilizzato da parte delle fazioni palestinesi come trampolino di lancio per attacchi verso Israele“, il miglioramento delle condizioni dei palestinesi in Libano, tuttora privi dei diritti civili e sociali, è stato affidato alla semplice formazione di un comitato congiunto che dovrà occuparsene. Inoltre non c’è il minimo accenno a garanzie per la protezione dei profughi, come evidenzia, preoccupato, Kassem Aina, direttore generale dell’ONG Beit Atfal Assumoud  con la quale intratteniamo una partnership di lunga data, nella dichiarazione resa a Michele Giorgio per l’articolo su Il Manifesto del 25 maggio 2025 e su Internazionale on line.  

Non ce ne voglia il Manifesto se trascriviamo qui l’analisi di Michele Giorgio “Abu Mazen vuole disarmare i campi palestinesi in Libano”, per mantenerne memoria all’interno del nostro sito nella sezione “Libano e Campi profughi”, a beneficio dei nostri associati e di chi aderirà in futuro alla nostra associazione.

Il Manifesto”- 25/5/2025 – Michele Giorgio

Un passo simbolico dice qualcuno, comunque non privo di implicazioni politiche e strategiche, è stato compiuto mercoledì scorso a Beirut. Durante la sua prima visita ufficiale in Libano dal 2017, avvenuta mentre nella Striscia di Gaza oltre due milioni di civili sono sotto le bombe e alla fame, il presidente dell’Olp e dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Abu Mazen, ha ritenuto prioritario dare il via al progetto libanese di disarmo dei campi profughi palestinesi. Così facendo, ha posto fine a un accordo raggiunto nel 1969 sull’autodifesa palestinese in Libano. La mossa rappresenta un importante aiuto al presidente filo-occidentale libanese Michel Aoun, che ha fatto del monopolio statale delle armi entro il 2025 la sua missione. Aoun, in realtà, intende assecondare la Casa Bianca che, su pressione di Israele, insiste per lo smantellamento dell’arsenale di Hezbollah. In vista di un risultato difficile, se non impossibile da raggiungere – il movimento sciita non ha alcuna intenzione di cedere le armi con cui combatte Israele e difende il Libano –, la confisca di fucili, mitragliatrici, Rpg e pistole in possesso delle formazioni palestinesi rappresenta il sostanzioso antipasto con cui Aoun spera di attenuare l’appetito di Washington (e Israele).

Allo stesso tempo, Abu Mazen è convinto che il disarmo dei campi finirà anche per indebolire i suoi nemici in Libano, a partire da Hamas, che negli ultimi anni ha visto crescere la sua popolarità e influenza tra i rifugiati. I risultati di questa mossa, quasi certamente, deluderanno le sue aspettative. E non possono essere sottovalutati, peraltro, i contraccolpi politici per lo status dell’anziano capo dell’OLP e dell’Anp, al quale sempre più palestinesi non riconoscono più il ruolo di leader. Molti considerano alcune delle sue recenti decisioni e dichiarazioni lontane dalla catastrofica realtà palestinese determinata dalle offensive militari di Israele. Poche settimane fa, ad esempio, Abu Mazen ha fatto istituire dal Consiglio centrale dell’Olp la carica di vicepresidente – di fatto il suo numero due e futuro leader –, assegnata poi a Hussein Sheikh, un dirigente che non gode di consenso e stima tra i palestinesi. In quell’occasione, ha lanciato anatemi contro i dirigenti di Hamas – «figli di cane», li ha apostrofati – ai quali ha attribuito la responsabilità della distruzione di Gaza attuata nei passati 19 mesi da Israele.

Nel frattempo, si manovra dietro le quinte in relazione agli equilibri regionali. Abu Mazen è certo di poter rafforzare la legittimità dell’Olp e dell’Anp assumendo posizioni che lo distinguano da Hamas e che rassicurino gli interlocutori occidentali e arabi. E concedendo senza contropartite il disarmo dei campi in Libano, ritiene che il presidente libanese Aoun ricambierà tessendo le lodi della sua leadership presso l’Amministrazione Trump. «Non accadrà. A guadagnarci dal disarmo dei campi sarà solo la campagna di Aoun per il disarmo di Hezbollah, mentre i palestinesi (in Libano) rischiano una guerra interna», prevede N.A., militante sin da ragazzo di Fatah (il partito guidato da Abu Mazen), in polemica con il presidente.

«Nessuna arma rimarrà al di fuori del controllo dello Stato libanese», hanno scritto in una dichiarazione congiunta Aoun e Abu Mazen. Sino ad oggi non è stato reso noto alcun calendario ufficiale per l’attuazione di questa decisione. Si sa soltanto che sarà istituito un meccanismo per il progressivo ritiro da parte dell’esercito libanese delle armi dai campi nel nord del Libano, iniziando da quello di Beddawi, forse a metà giugno. Poi si arriverà a Beirut – Shatila, Burj al Barajni, Mar Elias –, quindi a Rashidieh, Burj al-Shamali e Al-Bass nel sud. L’ultimo sarà con ogni probabilità il campo più grande, Ein el-Hilwe, una polveriera, teatro negli anni passati di violenti scontri a fuoco, con morti e feriti, tra gruppi armati palestinesi, in particolare tra Fatah e alcune formazioni di matrice salafita (Usbat al-Ansar e Jund al-Islam). Nessuno però crede che i tempi saranno così stretti, mentre si invocano maggiori consultazioni all’interno degli organismi di coordinamento tra libanesi e palestinesi.

Il Libano ospita circa 220.000 rifugiati palestinesi, distribuiti in una dozzina di campi, la maggior parte dei quali gestiti, per ciò che riguarda la sicurezza interna, autonomamente dalle fazioni dell’Olp, ma anche da Hamas e altri gruppi armati. Questa complessità è il primo nodo non sciolto. Se Abu Mazen appare disposto ad assecondare la linea di Beirut sul monopolio statale delle armi, la posizione di Hamas è più rigida. Ali Barakeh, un dirigente del movimento islamista a Beirut, si dice rispettoso delle autorità libanesi, però chiede quello che definisce «approccio più ampio» alla questione palestinese. Le 25 fazioni dell’Alleanza Nazionale in Libano fanno sapere di non aver ancora raggiunto una decisione definitiva sulla mossa di Abu Mazen. Hamas, Jihad islami e il Fronte popolare (sinistra) respingono per ore l’idea del disarmo, mentre il Fronte Democratico non ha una posizione chiara. Jamal Issa di Fatah afferma che il partito è unito dietro la decisione del presidente. Indiscrezioni, invece, indicano che proprio i militanti di Fatah starebbero nascondendo armi a Ein el-Hilwe in vista di tempi incerti.

La frustrazione per le decisioni annunciate è aggravata dalla mancata discussione, nell’incontro tra Aoun e Abu Mazen, della questione dei diritti negati ai profughi palestinesi in Libano, ai quali – tra le tante limitazioni – è proibito esercitare quasi tutte le professioni, con pesanti ricadute sulle condizioni di vita. «Tutti sanno che le armi presenti nella maggior parte dei campi sono ufficialmente solo nelle mani di Fatah e di altre forze dell’OLP, allo scopo di garantire la sicurezza interna dei campi. È un possesso simbolico ormai da anni, a eccezione di Ein el-Hilwe», dice al manifesto Sari Hanafi, docente palestinese all’Università americana di Beirut. «Abu Mazen – aggiunge Hanafi – oltre a parlare di quelle armi avrebbe dovuto avviare una trattativa con il presidente Aoun per garantire ai nostri profughi migliori condizioni di vita in Libano e l’ottenimento di garanzie fondamentali. Senza rinunciare al diritto al ritorno in Palestina previsto dalla risoluzione 194 dell’Onu, i profughi devono poter vivere in dignità in questo paese dopo tanti anni, e non essere trattati come ospiti sgraditi».

Kassem Aina, storico direttore della Ong palestinese Beit Atfal al-Sumud, esprime la delusione di tanti profughi. «Abu Mazen – afferma – non ha visitato neppure un campo e si è interessato solo del disarmo. La nostra vita quotidiana non occupa un posto nei suoi pensieri». Aina pone interrogativi fondamentali: «Chiedono la consegna delle armi palestinesi alle autorità libanesi, che noi rispettiamo, ma l’esercito libanese è pronto a garantirci protezione? Proprio qui, nel 1982, a Sabra e Shatila, migliaia di palestinesi furono massacrati da miliziani della destra libanese protetti da Israele. Siamo sicuri che quella aggressione non si ripeterà mai più?».

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